La voglia di manganello di un Paese regredito

I commenti sui social alle violenze di Milano e Livorno mostrano un'Italia che ha voglia di violenza e di repressione

Nessuno avrebbe visto la donna trans importunare i bambini e compiere atti osceni nei pressi di una scuola in zona Parco Trotter a Milano, ma in molti, in tutta Italia, hanno visto la furia con cui gli agenti della Polizia Locale l’hanno manganellata, dopo averle spruzzato in faccia dello spray al peperoncino. Ora della vicenda si occuperà la Magistratura, come è giusto che sia. Neanche ventiquattr’ore dopo, a Livorno, un Carabiniere ha sferrato un calcio in faccia a un uomo, durante l’arresto. Immediato il suo trasferimento da parte dell’arma, che ha giudicato quel gesto violento “non in linea” con i suoi valori.

Il popolino ha voglia di manganello

Inutile dire che la plebe digitalizzata che è accorsa a commentare sui social la notizia del pestaggio milanese ha tirato fuori il peggio del suo repertorio, dalla “castrazione chimica” della transessuale (storico cavallo di battaglia della ‘bestia social’ salviniana), ai complimenti agli agenti per aver “ripulito” il marciapiede. Poco importa che nel corso delle ore la stessa Procura avesse smentito la versione dei manganellatori, la preda era troppo ghiotta e la bava alla bocca tanta.

Tra i tanti commenti di donne e di uomini che in un italiano da terza elementare fatta male hanno voluto palesare quanto un essere umano, in determinate condizioni di disagio, possa somigliare a una bestia inferocita, vale la pena citare Marcella, donna di mezza età che sulla sua foto profilo tiene in braccio il nipotino: secondo la “signora”, con quei manganelli avrebbero dovuto praticare altri tipi di sevizie alla malcapitata. Povero bambino, che schifo di nonna che si ritrova.

Chi ha la divisa ha sempre ragione

Nel Paese dell’omicidio di Stefano Cucchi e delle torture a Bolzaneto, i partiti dell’estrema destra, oggi al governo, da sempre difendono gli uomini in divisa, anche quando si macchiano di reati gravissimi. Uno degli obiettivi di Giorgia Meloni è abolire il reato di tortura, che considera un ostacolo al “lavoro” delle Forze dell’Ordine. Il suo vice e girasagre, come sappiamo, non ha mai avuto la decenza di scusarsi per quel “la droga uccide” riferito a Stefano Cucchi.

Il risultato di questa propaganda martellante, si legge bene nei commenti alla notizia di Livorno. Scrive Salvatore: “Povero ragazzo ha solo rapinato un supermercato, aggredito la Guardia durante la rapina, commesso resistenza all’arresto, ma voglio dire diamogli arresti domiciliari e Reddito di cittadinanza. Piena solidarietà ai Carabinieri”. In realtà il ragazzo aveva solo rubato delle cuffie e del cibo per cani, stava solo cercando di scappare e il calcio in faccia è arrivato mentre era già immobilizzato. Lino sentenzia: “Ha fatto bene, io sto sempre con le forze dell’ordine, mi sembra che il ladro non sia… italiano” (emoticon muscoli e manina aperta a mimare virtualmente il saluto romano). Per la cronaca, il ragazzo sembra italianissimo. Esilarante il commento di Ivo: “Ficcarvi i cellulari in tasca no eh? Quanto è bello buttare cacc* sulle ffoo!!!”. Insomma, per lui la colpa è di chi ha ripreso la scena… fantastico.

La rabbia repressa

Questa esaltazione della violenza che arriva spesso dalla parte più disagiata della popolazione è figlia di un malessere diffuso a cui una parte politica ben precisa, non sapendo dare risposte concrete, propone dei nemici da odiare, usando l’odio come un mangime per bestie in un allevamento intensivo. E così, ormai da tempo e non solo in Italia, pezzi di società sfogano povertà, fallimenti e invidia sociale contro facili bersagli. Sono sfoghi che nella maggior parte dei casi si limitano allo schermo luminoso di uno smartphone comprato a rate, in casi più gravi sfociano in violenza tra le mura domestiche. E i Bersagli sono sempre i deboli, quelli che non possono difendersi, come una transessuale presa a sprangate e un ragazzino preso a calci in faccia dopo essere stato immobilizzato.