venerdì 6 Dicembre 2024
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Come cambia il Movimento che ha “ucciso” Grillo e incoronato Conte

Dopo la "costituente" la creatura che fu del comicoleader e di Gianroberto Casaleggio cambia pelle. L'ex premier è ora il leader incontrastato e dovrà giocarsi le sue carte nel miglior modo possibile

Per lungo tempo gli esponenti del Movimento 5 Stelle sono stati i “grillini”, in omaggio al co-fondatore e comicoleader, Beppe Grillo, che ha accompagnato la nascita e l’esplosione del non partito che ha condizionato almeno due tornate elettorali, quelle del 2013 e del 2018 (dove è definitivamente esploso, sfiorando il 33%).

Il sogno del partito anti-casta

Sembrano ormai lontanissimi i tempi di quei “vaffa” di quelle urla fuori e dentro i palazzi del potere. Oggi i “grillini” sono diventati grandi e hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare già da tempo: mandare in pensione quel nonno che ormai era diventato solo un peso. Da osservatore esterno, spesso estremamente critico e spernacchiante, posso dire di aver vissuto tutte le fasi della loro trasformazione. Nei primi anni, quelli dell’esplosione, il Movimento 5 Stelle era il non partito “anti casta”, quella “casta” raccontata nel libro di due giornalisti che si sono ben guardati dal raccontarne un’altra, quella in cui molti anziani colleghi hanno piazzato figli e nipoti un po’ ovunque e continuato a occupare pagine di giornali anche dopo la “meritata” pensione.

In quei giorni ruggenti mi capitava spesso di raccontare le avventure di quelli che erano a tutti gli effetti degli “scappati di casa”, perché nella prima “infornata” c’era davvero di tutto, dai terrapiattisti ai no vax, da quelli che sostenevano che l’uomo non era mai stato sulla Luna agli invasati che ti indicavano i voli Ryanair da Roma – Bratislava che sorvolavano i cieli sopra la Capitale perché a loro dire ci stavano “irrorando” con le famigerate scie chimiche.

Il voto della plebe analfabeta

Come tutti i partiti che periodicamente intercettano il voto delle masse di analfabeti funzionali, di quella plebe digitalizzata ben visibile anche sui social network, il loro consenso era accompagnato da rabbia, ignoranza e invidia sociale. La Casaleggio Associati, società che gestiva dietro le quinte il Movimento 5 Stelle, fu molto abile nell’utilizzare la rete contro i nemici: ne parlai nel 2017 in un libretto satirico dal titolo “200 insulti a un giornalaio servo della ka$ta” (è ancora molto attuale, lo trovate qui) in cui proposi una selezione degli insulti dei grillini a commento dei miei articoli. Insulti a cui rispondevo con ironia, anche quando erano vere e proprie minacce. Consiglio i capitoli “Tutto su mia madre” e “Il mio ano e altri luoghi fantastici”.

I due Movimenti

Già allora però, erano ben visibili due Movimenti. Il primo era – appunto – quello degli “scappati di casa Doc”, il secondo era quello che – per puro caso – aveva intercettato un pezzo della società che voleva cambiare il mondo e non si riconosceva più nella sinistra, diventata quel tutto e niente che era il Partito Democratico di quegli anni. Non scorderò mai i due giovani deputati neo eletti che parlavano per i corridoi di Montecitorio in quella prima “infornata” (2013), quella che costò cara a Pierluigi Bersani. Uno di loro indicò alcuni dipinti del 1.700 e disse al collega: “Si potrebbero vendere per distribuire i soldi ai cittadini”. E l’altro: “Non mi sembra una buona idea, in fondo se quei quadri sono qui sono già dei cittadini”.

Giggino, quello che voleva fare il premier

Ricordo bene anche i poveri commessi alle prese con i cittadini qualunque divenuti parlamentari grazie a 39 voti raccolti online, che una volta rimasero anche bloccati di notte nel alla Camera perché volevano scoprire cosa succedeva dopo l’orario di chiusura. E ricordo i poveri dipendenti del legislativo, che si trovarono a dover rigettare proposte di legge degne di un film di Checco Zalone. Da un certo punto di vista era anche divertente raccontare le loro “imprese”, ma presto ci divertimmo decisamente meno, soprattutto quando quel consenso “dopato” portò Virginia Raggi in Campidoglio: l’amatissima alfiera del grillismo militante è stata il peggior sindaco della storia dell’umanità.

Luigi Di Maio (Facebook)

Poi arrivò Giggino, quello che voleva fare il premier, al secolo Luigi Di Maio. Con lui il Movimento 5 Stelle andò al governo prima con la Lega di Matteo Salvini, protagonista del più grande suicidio politico della storia tra gli ombrelloni del Papeete Beach, e poi con il Partito Democratico. Iniziò lì l’ascesa di Giuseppe Conte: un leader a tutti gli effetti, un politico a tutti gli effetti.

L’ascesa di Giuseppe Conte

Conte in questi anni ha palesato tanti limiti, ma anche dei pregi. Ha trasformato di fatto il Movimento 5 Stelle in un partito, anche se non è riuscito a strutturarlo a livello territoriale. Ha rotto il tabù delle alleanze e soprattutto – con quest’ultimo voto – lo ha posizionato tra le forze progressiste. Con l’evoluzione del suo personaggio è tramontato il grillismo, quello del “né di destra, né di sinistra”, che tanto comodo ha fatto alla destra di Silvio Berlusconi prima e di Giorgia Meloni poi.

Il governo giallo-rosso, un punto di svolta

Conte ha acquistato popolarità durante il governo giallo-rosso, quello che ha dovuto combattere la pandemia. È riuscito ad apparire rassicurante in un momento in cui tutti gli italiani cercavano rassicurazioni. Ha tenuto a bada le frange estreme e no-vax del suo stesso partito e ha iniziato a costruire una sorta di gruppo dirigente, iniziando a selezionare le persone, svolta non da poco. Per continuare questo lavoro ha imposto di superare il limite del due mandati – bandiera del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo – perché ha capito che sono promuovendo i più validi si può costruire un consenso anche territoriale. Ovviamente non parliamo di Winston Churchill: con la sua gestione il Movimento ha perso tanto consenso e il leader M5S è il primo responsabile della sconfitta del “Campo Largo” in Liguria, ma l’elettorato rimasto è meno “liquido” è più simile allo “zoccolo duro” di un partito.

Un elettorato meno “liquido”

Il voto della plebe analfabeta era volato via già ai tempi di Giggino, transitando nella Lega per poi finire in Fratelli d’Italia, un partito passato in pochi anni dal 4 per cento al 29 per cento. La segreteria di Elly Schlein ha reso il Partito Democratico qualcosa di più sensato e anche quello ha “riportato a casa” qualche elettore di sinistra che si era allontanato. E anche la bella esperienza di Alleanza Verdi Sinistra ha tolto qualcosa al Movimento.

Cosa succede ora?

Ora nel Movimento 5 Stelle restano quei sognatori un po’ più sognatori di quelli che votano la creatura di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, ma dopo questa “Costituente” hanno le idee più chiare e sanno che il loro Movimento non andrà mai più al governo con un girasagre. Certo, la politica italiana ci ha abituati a cambiamenti inaspettati che si sono concretizzati nel giro di pochi mesi (chi avrebbe mai detto che il Matteo Renzi del 41% sarebbe finito al 2%?) e se oggi celebriamo il trionfo di Giuseppe Conte domani potremmo ritrovarci a parlare del grande ritorno di Danilo Toninelli (figura tragicomica e assai ricorrente del mio ultimo romanzo, lo trovate qui), ma il fatto che si sia archiviato Beppe Grillo è una svolta per la politica italiana. E ora starà a Conte giocarsi le sue carte.

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